Maltrattamenti in famiglia: le dichiarazioni della persona offesa sono fonte di prova idonea a fondare la colpevolezza – Alessandro Calogiuri Avvocato penalista Ancona

Maltrattamenti in famiglia: asserire “è la sua parola contro la mia” non è difesa sufficiente; le dichiarazioni della persona offesa, ove intrinsecamente attendibili, sono fonte di prova idonea a fondare la colpevolezza.

(Cassazione Penale, Sez. III, sentenza 23 novembre 2020 – 25 gennaio 2021, n. 2911)

Spesso da parte di chi è indagato/imputato di reati particolarmente odiosi commessi nel privato del nucleo familiare si sente proferire la classica frase “è la sua parola contro la mia”, come se questo di per sé fosse sufficiente a raggiungere una assoluzione; non si può nascondere poi la circostanza che spesso è proprio tale elementare asserzione che “incatena” le vittime ad una realtà da cui vorrebbero scappare in quanto convinte di non avere speranza data la assenza di prove che spessissimo è connaturata a situazioni delittuose in cui il soggetto agente controlla e limita ogni ambito della vita della vittima impedendogli di fatto di avere contatti con il mondo esterno. Si tratta infatti di reati che quasi mai hanno testimoni o elementi di prova diretta, anche a causa del legame sentimentale tra le parti della vicenda che spesso porta la vittima a sopportare per lungo tempo, sperando in un miglioramento, e a non denunciare o recarsi al pronto soccorso per paura o addirittura per resistenze nell’agire contro un soggetto che, magari, è proprio il padre dei propri figli.

Pertanto spesso vi è solo la parola della vittima contro la parola dell’accusato.

La Giurisprudenza non è sorda di fronte a questa esigenza, anzi è ben conscia della necessità di una più intensa tutela della dignità della persona offesa, tanto che è ormai ius receptus il granitico orientamento secondo il quale, in caso di necessità, per essere la persona offesa l’unico testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare o, comunque, l’unico in grado di introdurre in maniera apparentemente neutra una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell’ambito del libero convincimento del giudice, essere vagliata come fondamento del giudizio di colpevolezza dell’imputato.

Se così non fosse si arriverebbe al gravissimo paradosso di dover accettare che il soggetto maltrattante che soverchia e isola completamente la propria vittima, impedendole qualsivoglia relazione con soggetti diversi da quelli da lui prescelti e con lui conniventi, non solo pone in essere una condotta umanamente odiosa e gravemente antigiuridica ma, al contempo, getta il seme per una sua futura archiviazione/assoluzione per insufficienza della prova.

Una conclusione amara che è giuridicamente e umanamente inaccettabile.

In merito, la Cassazione ha nuovamente recentemente confermato (Cass. 2911/2021) che, ove le dichiarazioni della persona offesa vengano riconosciute intrinsecamente attendibili, ad esse debba essere riconosciuta la natura di fonte di prova da ritenersi idonea a sostenere l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, a patto che la predetta statuizione sia sorretta da una adeguata e coerente motivazione.

Come anticipato in apertura tale conferma risulta di notevole rilievo in relazione a quella particolare tipologia di reati che vengono commessi all’interno delle mura domestiche o comunque nella sfera soggettiva più privata (maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale …) il cui accertamento, spessissimo, non può beneficiare di elementi di riscontro diretto diversi ed ulteriori rispetto alle parole dei soggetti coinvolti nella vicenda.

Tale orientamento è stato costantemente confermato nel corso del tempo dalla Giurisprudenza ed ha ricevuto anche l’autorevole avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la pronuncia n. 41461 del 19/07/2012, ha statuito l’inapplicabilità delle regole fissate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. alle dichiarazioni della persona offesa, che quindi possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sottoponendo a preventiva e motivata verifica la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca del narrato, che deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, aggiungendo che, in caso di costituzione di parte civile della persona offesa, può [e non deve] essere opportuno procedere anche al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.

Da ultimo, nel ribadire il valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, si è ulteriormente chiarito che, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, nè assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 dei 26/3/2019, S, Rv. 275312).

Continuando nella lettura della pronuncia n. 2911/2021 si assiste poi alla conferma di un orientamento evolutivo della fattispecie che punisce i maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) andando a specificare l’interpretazione da fornire alle locuzioni convivenza e conviventi.

in primis si specifica che il delitto di cui si tratta viene riconosciuto anche “in relazione a situazioni di non convivenza, ma in quanto succedute a precedente convivenza e, quindi, non nel senso di assenza di convivenza ma di cessata convivenza” ed inoltre viene chiarito che la condotta di “maltrattamenti in famiglia” è configurabile anche in contesti diversi ed ulteriori rispetto alla famiglia legittima basata sui vincoli nascenti dal matrimonio, essendo sufficiente che si sia in presenza di un rapporto di stabile convivenza, suscettibile di determinare l’insorgenza di obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto – piuttosto – che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità. Pertanto risultano sussumibili nella fattispecie in commento anche situazioni in cui “una relazione sentimentale che abbia comportato un’assidua frequentazione della abitazione della persona offesa tale da far sorgere sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale (Sez. 5, n. 24688 del 17/3/2010, Rv. 248312) o di un rapporto familiare di mero fatto in assenza di una stabile convivenza ma con un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza (Sez. 6, n. 22915 del 7/5/2013, Rv. 255628; Sez. 6, n. 23830 del 07/05/2013, Rv. 256607).

Avv. Alessandro Calogiuri – Avvocato penalista Ancona

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